Stai leggendo il secondo post del percorso sui Libri che parlano di intercultura; se hai perso il primo lo trovi qui.

E poi basta. Manifesto di una donna nera italiana di Espérance Hakuzwimana Ripanti, edito da People

Perché leggerlo?

Esistono mille ragioni per cui mi sento di consigliare questo libro ma la prima è molto semplice: è scritto benissimo. Pubblicato nel 2019, con il suo testo d’esordio Espérance Hakuzwimana Ripanti ripercorre la propria storia di nera italiana, alternando episodi di vita personale a riflessioni spesso dolorose sulla situazione politica e sociale contemporanea. Attraverso le lettere che scrive a un amore lontano riporta la difficoltà di assistere a fatti come il crollo del ponte di Genova, l’incarcerazione dell’ex sindaco di Riace, le violenze perpetrate ai danni di coloro che sono italiani di fatto ma non di nome.
Ma soprattutto, Espérance parla di sé: del desiderio coltivato fin da piccola di diventare scrittrice, della gioia di avere amiche con le quali poter ridere e studiare, di una bambola di pezza che l’ha accompagnata per anni e andata persa per sbaglio. Racconta che cosa significhi essere nera in un paesino di provincia, dell’avere un aspetto che grida la propria estraneità e attira sguardi vogliosi e non voluti.
È un libro potente, che fa leva sulle emozioni e su un uso studiato e amorevole della lingua per esprimere a parole quello che, per anni, è rimasto chiuso nella mente (o nel cassetto) dell’autrice.
Per fortuna è venuto fuori.

Cosa c’entra tutto questo con l’intercultura?

Proprio perché lo trovo così bello, lascio che sia il testo stesso a rispondere.

Animale da palcoscenico per platee che non ti assomigliano, che non hanno niente a che fare con te, coi tuoi sogni, il tuo talento, i tuoi pensieri, il tuo vissuto, le tue capacità, il tuo dolore e la tua vita. Un incubo ricorrente in cui continuo a spiegare, a parlare, a urlare e nessuno mi vede, mi riconosce, mi sente o mi ascolta. Tutti fermi, imbambolati, pronti a scorgere le mie bellissime ali, la mia prestanza fisica, i giochi meravigliosi che la genetica ha realizzato con me, e come alla fine io – per quanto sia simile a loro – non sia poi così simile a loro. E in tutto questo, la straordinaria fortuna è che loro – soltanto loro – possono avere l’onore di darmi il permesso di poterglielo raccontare. Loro curiosi e avidi senza precedenti, io animale da palcoscenico. (pagg. 43-44)

Dovunque si sviluppano delle narrazioni – libri, radio, cinema, tv – in Italia, è necessario che si creino degli spazi in cui le persone afrodiscendenti, asiatiche ecc. possano raccontarsi per come sono realmente, perché ognuno possa riconoscere nella storia di un altro elementi in comune con la propria.
Tuttavia, se c’è, dev’essere anche rispettata la loro volontà di rimanere in silenzio, di non essere presi a modello quando si parla di integrazione, migrazione, guerre o seconde generazioni.

Parole chiave: neri, sentimenti, rappresentatività

L’unica persona nera nella stanza di Nadeesha Uyangoda, pubblicato da 66th a2nd

Perché leggerlo?

Nonostante il titolo e l’espediente di utilizzare eventi personali per parlare di questioni razziali, il libro della giornalista Nadeesha Uyangoda offre una visione più ampia rispetto al precedente.
Lo differenzia anche un senso diffuso di rabbia che riflette forse l’urgenza di parlare di questioni che sono state a lungo taciute.
Scrive infatti di coppie miste e delle difficoltà che si trovano ad affrontare quotidianamente, sia legate alla relazione in sé (sta con me perché sono esotica o perché sono io?) sia dovute ai pregiudizi di estranei e non.
Spiega di quando, a Milano, ha realizzato un reportage sul concorso Miss Sri Lanka, dedicato a ragazze che non rientrano nei “canoni occidentali” e di come l’idea di bellezza risenta del colorismo, termine che in italiano viene applicato alle arti ma che in inglese rappresenta la discriminazione che tende a favorire le persone con una carnagione più chiara.
Critica la legge sulla cittadinanza e contesta l’universalità del concetto di “italianità”, sottolineando la difficoltà dei giovani a definire se stessi: neri, di colore, nuove/seconde generazioni?
Affronta i temi del razzismo istituzionalizzato, cioè portato avanti dagli organi di governo, e dell’antirazzismo come possibile mezzo per cambiare le cose.

Cosa c’entra tutto questo con l’intercultura?

La panoramica che questo libro offre della situazione italiana rappresenta un punto di partenza importante per riflettere sulla direzione da prendere come individui e come istituzioni, quantomeno per avviare un dibattito su tematiche che la maggioranza della popolazione ignora.

Parole chiave: coppie miste, colorismo, razzismo istituzionalizzato

Semi di tè di Lala Hu, pubblicato da People

Perché leggerlo?

Avete presente quel tempo sospeso e lunghissimo in cui siamo rimasti tutti chiusi in casa, terrorizzati all’idea di contagiare qualcuno e di non poterlo più rivedere?
Lala Hu, docente dell’Università Cattolica di Milano, ripercorre le prime, concitate settimane di quel periodo, mostrando le aspettative che avevamo e le disillusioni che si sono fatte largo man mano che l’epidemia cresceva. Riporta anche l’esempio di chi ha voluto contribuire a gestire l’emergenza, mettendo a disposizione le proprie competenze: Wudi, che distribuiva mascherine alle persone in fila dal panettiere perché sapeva che indossarle sarebbe stato utile per rallentare il contagio; Yang, artista divenuto interprete per i medici cinesi giunti in Italia per formare il personale medico; Weng, dottore egli stesso, entrato in servizio poco prima della pandemia.

Cosa c’entra tutto questo con l’intercultura?

Le persone sopracitate appartengono tutte alla comunità cinese, la più colpita in termini di discriminazione prima, durante e dopo lo scoppio di COVID-19. A dispetto delle difficoltà, del sentirsi additare come untori e, in alcuni casi, di essere aggredite, hanno avuto la forza e la voglia di mettersi in gioco per aiutare la collettività.
Spesso i giornalisti comunicano le notizie di cronaca nera sottolineando la nazionalità dell’accusato, quasi a voler evidenziare un nesso causale tra provenienza geografica e tendenza alla criminalità.
Altrettanto spesso, però, dimenticano di mettere in luce le buone azioni e i contributi positivi che le persone di altre origini portano al Paese.
Bisognerebbe allora trovare il modo più coerente ed etico per parlare e scrivere di sinoitaliani, afroitaliani, immigrati e rifugiati; così facendo, cambierebbe sicuramente anche la percezione pubblica del fenomeno.
Alcuni giornalisti ci stanno già provando, ma temo che la strada sia ancora lunga.    

Parole chiave: competenze, sinoitaliani, giornalismo

Per prima cosa GRAZIE ! Apprezzo il tempo che hai dedicato a ciò che ho scritto. Per seconda, forse l’argomento ti interessa davvero! E allora ti invito  a scrivermi all’indirizzo info@tramedi.it o nei commenti qui sotto se il post ti è piaciuto, se avevi già letto i libri e ti hanno ispirato considerazioni diverse oppure se ne hai altri da consigliare.