Stai leggendo il terzo post del percorso sui Libri che parlano di intercultura; se hai perso i primi li trovi qui

Non ho mai avuto la mia età di Antonio Dikele Distefano, edito da Mondadori

Perché leggerlo?

Il romanzo di Distefano racconta la crescita dai sette ai diciassette anni di un bambino di periferia, le cui esperienze sono spesso in contrasto con l’età anagrafica.
C’è però un filo conduttore che le lega ed è quello della povertà: materiale, affettiva, culturale.
Il protagonista, angosciato dall’abbandono della madre, dal trasferimento in una nuova città e da una situazione che definire disastrata sarebbe un eufemismo, non può contare nemmeno su ciò che tutti hanno: un nome.
Finché infatti non sono i suoi amici a soprannominarlo Zero, di lui si conoscono solo i pensieri. E, come c’è da aspettarsi, sono pensieri confusi, rabbiosi, increduli. Pensieri profondamente influenzati  dall’atteggiamento di chi stringe la borsa quando il ragazzo sale su un tram con Sharif, Inno, Claud o di chi lo guarda male per strada e lo considera, appunto, uno zero.

Cosa c’entra tutto questo con l’intercultura?

La scarsa considerazione di cui godono coloro che vivono in contesti ai margini – che siano solo della città o, più ampiamente, della società – rischia di alimentare una profezia che si auto avvera: “se tutti mi considerano una nullità forse non ho davvero niente da offrire”, “se tutti pensano che sia un delinquente allora farò vedere loro di cosa sono capace”, come succede a Zero, diventato abile a derubare i ragazzi bianchi in discoteca per ottenere soldi facili.
Grazie alla risonanza che hanno avuto i libri di Dikele, questo testo è stato scelto da Netflix per produrre la prima serie televisiva sui neri italiani.

Parole chiave: povertà, pensieri negativi

Ci rido sopra. Crescere con la pelle nera nell’Italia di Salvini,
scritto da Tommy Kuti per Rizzoli

Perché leggerlo?

Tommy Kuti, nome in arte di Tolulope Olabode Kuti, è un rapper di Castiglione delle Stiviere nato ad Abeokuta, in Nigeria, e conosciuto soprattutto per il singolo Afroitaliano. Al posto di un’altra canzone, ad un tratto ha deciso di scrivere un libro sulla propria vita (ma se gliene chiedeste il motivo, nemmeno lui saprebbe dirvi bene perché).
Con uno stile colloquiale e leggero, Kuti prende spunto dalle pagine del diario scritto da suo padre trent’anni prima per analizzare le tematiche e gli eventi più salienti: spazia quindi dalla sua identità composita e in mutamento al rapporto con le ragazze e il sesso come adolescente obeso e impacciato; dal legame concreto e sereno con i soldi all’importanza della musica nel suo percorso.
E ancora, scrive della laurea conseguita a Cambridge e del valore e del peso delle parole usate per definire una persona nera; del tortuoso iter religioso che l’ha portato a essere un po’ cristiano e un po’ no, della disillusione nei confronti della politica.     

Cosa c’entra tutto questo con l’intercultura?

Nei racconti dei e sui migranti spesso la tendenza è quella di sottolineare l’aspetto sofferente, tragico della storia, accantonando la parte più gioiosa e creativa mentre Kuti fa esattamente l’opposto: porta l’esempio di un percorso di vita felice e soddisfacente, pur senza nascondere le difficoltà avute.
Particolarmente significativa, poi, è l’immagine che emerge dei genitori dell’autore: una coppia tenace, volenterosa e generosa che ha saputo creare una fiorente attività di import export di alimentari dall’Africa in un Paese del quale non conosceva nemmeno la lingua.

Parole chiave: musica, imprenditori migranti

Lo sguardo avanti. La Somalia, l’Italia, la mia storia, di Abdullahi Ahmed, pubblicato da Add Editore

Perché leggerlo?

Settemila chilometri percorsi lungo cinque nazioni. Sabbia, vento, sole cocente e acqua gelida. Compagni dispersi e abbracci mancati, cibo razionato e paura. Ma nonostante tutto, con lo sguardo avanti; con la speranza di poter cambiare la propria sorte e quella della propria famiglia.
Partito dalla Somalia a causa della guerra civile imperante, Abdullahi Ahmed ha dovuto imparare a cavarsela da solo ad appena diciannove anni: dopo aver attraversato il Mediterraneo su un barcone di fortuna, ha raggiunto l’Italia nel 2008 e ha chiesto e ottenuto lo status di rifugiato.
Nei 13 anni successivi ha imparato l’italiano, trovato lavoro come mediatore culturale, ottenuto una casa e la cittadinanza. Si è messo a nudo raccontando la propria storia davanti a migliaia di bambini e ragazzi nelle scuole pubbliche. Ha fatto il servizio civile e fondato un’associazione culturale denominata GenerAzione Ponte che si occupa di “valorizzare e diffondere una cultura di convivenza pacifica”. 

Cosa c’entra tutto questo con l’intercultura?

 Con le sue 200 pagine scarse, questo libro rappresenta un vero e proprio bigino dell’intercultura.

Ci sono voluti tempo, impegno e testardaggine, c’è voluto un percorso fatto di scontri e confronti per capire che essere stranieri, oltre a una questione burocratica, è un fatto di partecipazione. E questo discorso, se cambiamo il punto di vista, vale non soltanto per chi arriva, ma anche per chi ti accoglie, perché talvolta anche da quella parte si tende a considerare e trattare il nuovo cittadino con un passato migratorio come uno straniero. Non si tratta di razzismo, anche se, è vero, spesso dobbiamo confrontarci anche con quello, ma di una visione per la quale lo status di straniero è e deve essere perenne, come un segno che si porta addosso per tutta la vita.

Integrazione è una parola che stabilisce un confine, un perimetro di separazione tra “noi” e “loro”, in cui lo sforzo è affidato soltanto a chi è appena arrivato.

La vera sfida è “l’interazione”, senza la G: interagire per costruire uno spazio di convivenza, di riconoscimento, di destini comuni.

Incontrarsi può essere faticoso, difficile, spesso genera conflitti. Bisogna avere pazienza, politiche giuste, visione di futuro. Bisogna schierarsi e sapere che non c’è giustizia se non è per tutti, non c’è libertà se tutti non ne possono godere. Non c’è pace se c’è qualcuno che vive in guerra.

Parole chiave: attivismo, speranza, interazione

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